La pesca a pasta bianca costituisce uno dei presidi nutrizionali più efficaci quando il quadro clinico e sintomatologico del paziente richiede un drenaggio del fegato.
La ragione dipende da molteplici fattori,
In primo luogo, la pesca a pasta bianca , contiene una minor quantità di vitamina A e carotenoidi, rispetto a quella pasta gialla;
queste sostanze possono essere responsabili di un aggravamento metabolico dell’epatocita, in quanto sono molecole complesse che richiedono un notevole impegno biochimico e tendono a essere accumulate nel citoplasma cellulare, riducendo la parte biologicamente attiva della cellula epatica.
in secondo luogo, la pesca agisce sul fegato indirettamente, in virtù di una primitiva stimolazione della tiroide, operata dal suo contenuto in iodio; questo stimolo induce una maggior produzione di ormoni tiroidei, che accelerano il funzionamento di tutti i sistemi biologici; inoltre, l’epatocita si giova dell’apporto energetico degli zuccheri disciolti in mezzo Acquoso, perciò, la limitata quota zuccherina della pesca (rispetto ad altri frutti ricchi di iodio) costituisce un vantaggio;
infatti la modesta ma prolungata iperglicemia, secondaria all’assunzione di questo frutto, non è seguita da una repentina ipoglicemia, che lascerebbe il fegato in difficoltà energetica.
Se a queste considerazioni si aggiunge quella del contenuto non eccessivo di ferro e dell’azione diuretica della sua acqua di vegetazione (povera di sodio, il che agevola l’eliminazione dei cataboliti), si comprende la facilità di impiego della pesca a pasta bianca nelle patologie epatiche.